Il Castrum d'Uggiano

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Un abbandono di sei secoli

Eppure in quella vecchia [opera] vi era una qualche vitalità, una qualche misteriosa e suggestiva traccia di quel che essa era stata [... ];
una qualche soavità in quelle linee morbide modellate dal vento e dalla pioggia”.

J. Ruskin, Le sette lampade dell’architettura, trad. it. R. M. Pivetti, Milano, 1981, pag. 227.

Su uno spiazzo di poco più di un ettaro, alla sommità di una collinetta dalle pendici che degradano bruscamente verso la valle della Salandrella e del canale della Lavannara, svettano tra gli sterpi, in uno stato di precario equilibrio, i tratti superstiti della cinta muraria diruta e i resti della torre quadrata che sino a trent’anni or sono era incorniciata dall’arco angioino. Oggi l’atmosfera di abbandono, sottolineata dai cespugli e dai cardi selvatici che punteggiano le argille dei calanchi, assume qui un significato emblematico. Il castello di Uggiano è solo una delle tante rovine fra cui siamo abituati ad aggirarci in una regione di antico popolamento, dove i ruderi dell’antichità greca e romana si giustappongono ai siti preistorici e le testimonianze medievali delle opere di fortificazione, a testimonianza del ruolo strategico della Basilicata, lasciano il posto agli insediamenti dei secoli successivi.

Il castrum di Agromonte, nel Vulture, scompare con il suo casale nel XIII secolo; sempre alle falde del Vulture il castrum di Armaterra viene distrutto durante la repressione della rivolta ghibellina del 1268; se dai rilievi del Vulture ci spostiamo alla Valle del Sinni scopriamo che un tempo sorgeva il castello di Amignano. In età aragonese scompaiono il castrum di Brundisium de Montana e, non lontano, fra Pietrapertosa e Laurenzana, l’antico centro fortificato di Castrum Belloctum, o sull’altra sponda del Basento, nella zona di Tricarico, un tempo sorgeva il Castrum Kervanos. Sempre in età aragonese scompare Irsum, feudo di Montepeloso. Nel secolo XIII sulla sponda dell’Ofanto che guarda Melfi c’era un castello appellato Camarda.

È certo che là dove il castrum è costituito da un centro abitato, è senz’altro scomparsa o si è trasferita la popolazione; non è necessariamente così là dove il castello è posto a difesa di un casale e può anche scomparire lasciando dietro di sé l’abitato o parte di esso, come succede alla roccaforte di Montescaglioso che nel 1033 respinge l’attacco bizantino e del cui passato emergono i resti della fortezza e della galleria sul dirupo. Lo stesso può dirsi per Uggiano: l’abbandono del castello con ogni probabilità, contrariamente a quanto ci è stato tramandato, non comporterà la scomparsa del centro abitato che esso serve. Con la vittoria a Benevento nel 1266 di Carlo d’Angiò sull’ultimo svevo, Manfredi, si scatena una forte repressione che coinvolge tutta la regione e porta alla distruzione e scomparsa di molti centri fortificati, come la roccaforte fortificata di Ruvo del Monte e la colonia saracena di Tursi; ci sono però anche centri abitati che risorgono, come Irsina.
Il fatto che di questi castelli e casali rimangono poche tracce visibili non diminuisce la loro importanza storica, ma qui nasce una difficoltà non marginale: che cosa è il castrum di cui parlano i documenti? Nel latino classico il termine, insieme a, indica un villaggio fortificato; nella tarda latinità il castellum sta anche ad indicare una fortezza in cui ha sede un presidio militare, che difende un centro abitato, controlla delle vie di transito, è l’ultimo riparo di un signore in ritirata. Il latino letterario, insieme a queste accezioni, acquisirà anche quella di villaggio fortificato. Perciò con castrum si indica sia “un insediamento fortificato esclusivamente militare, sia un recinto fortificato in cui la popolazione circostante deposita abitualmente i suoi raccolti e si rifugia nei momenti di pericolo, sia infine la dimora fortificata di un personaggio che esercita la sua autorità nella zona”.

Alcune fonti riferiscono che il 15 e 30 dicembre del 1456 due forti scosse di terremoto distruggono Uggiano, Brindisi di Montagna e danneggiano molti centri del Vulture. L’abbandono appare comune a tanti casali della regione, anche se emerge in modo esplicito soltanto da un numero relativamente esiguo di documenti, ma noi qui non affronteremo e non analizzeremo i non molti documenti, in cui l’abbandono di castelli e casali è attestato in modo univoco, e gli studi autorevoli che sono stati dedicati alla tematica del precoce decastellamento in Basilicata. Però dopo le recenti, autorevoli e documentate pubblicazioni di Padre Carlo Palestina, c’è da dubitare che Uggiano sia stato distrutto dal terremoto. Una popolazione di più di duemila abitanti (404 fuochi nel 1277) non può essere alloggiata nel castrum o sulle pendici inospitali della collinetta,  ma, almeno in parte, sull’area della Ferrandina greca e romana. Con ciò viene meno la centenaria storia della distruzione di Uggiano  per il forte terremoto, del trasferimento della popolazione (fecimo mettere quelli cittadini in altro loco due miglia da longe e più...), della fondazione di Ferrandina e di quella di Federico d'Aragona che nel 1494 costruisce la città dalle fondamenta...e la chiama Ferrandina. Un prezioso documento citato proprio dal Palestina riferisce che “Uggiano aveva una fortissima rocca. Il predetto re Federico..., sotto il pretesto del terremoto, come quello per evitare i mali che temeva, pensò che la detta rocca fosse demolita...”. E quante altre rocche e luoghi fortificati lucani subiscono la stessa sorte? Inoltre, se si ammette la scarsa robustezza dei materiali impiegati nella costruzione dei castelli, riesce chiaro come anche il venir meno di una costante manutenzione possa essere sufficiente a deteriorare l’efficienza difensiva, anche senza l’intervento di un terremoto o di una volontà distruttiva.

 

L’abbandono di Uggiano a seguito di un sisma, per costruire Ferrandina, è una circostanza da ritenersi scarsamente probabile; come anche una guerra o una regia volontà distruttiva da sole non sono mai sufficienti a provocare la scomparsa definitiva di un qualsiasi insediamento umano. Uggiano, posto sul colle di fronte a Ferrandina, testimonia per la sua posizione l’importanza strategica del luogo. Un primo riferimento cronologico certo è l’845, quando il territorio di Oblano (questa è la denominazione che più ricorre nei documenti) viene a far parte del Principato di Salerno: la presenza di un castello costruito su quest’altura, in un punto strategico di cerniera fra due valli, è certamente finalizzata ad affermare, con il proprio presidio militare dalla parte di Craco e della Salandrella, la supremazia militare ed amministrativa. Viene costruito, secondo alcune fonti, senz’altro prima dell’ XI secolo: nel 1068 Roberto il Guiscardo assale il caposaldo dell’Impero bizantino (cum paucis abiit Obbianum..), non essendo riuscito a prendere Irsina. Nel Catalogo dei Baroni mentre si fa menzione delle condizioni economiche e demografiche della Basilicata normanna, si cita un Rogerius de Ogiano. Si trovano ulteriori riferimenti al sito soltanto nel 1269 e nel 1275, quando Uggiano passa a Pietro de Beaumont e a Giovanni di Monteforte. Nel periodo normanno il luogo fortificato, i cui ambienti vengono riservati (in armonia con le ipotesi della Fasoli) soltanto al signore, castellanus, al suo seguito e all’apparato difensivo, viene sottoposto ad un intervento di rafforzamento e di completamento. La struttura è costituita da un recinto a forma di poligono irregolare con diametri interni rispettivamente di 140 m e 60 m, che segue l’andamento della spianata di sommità, difesa da una serie di torri a pianta quadrata.

Come nel resto del territorio di Ferrandina e nei limitrofi comuni di Craco e Pisticci, i consistenti rinvenimenti archeologici testimoniano la presenza greca e romana, un’auspicabile campagna di scavi sull’area di Uggiano potrebbe mettere in luce testimonianze del periodo ellenistico, o un insediamento anteriore al Mille e, solo successivamente consolidato, in età longobarda, con la costruzione di un castrum dotato di mura. Da studi sui materiali impiegati nella costruzione e sull’apparecchiatura dell’attuale impianto si rende leggibile uno strato pre-normanno e quasi certamente bizantino. Vi è da dire infatti che i longobardi, prima, e i normanni, poi, si limitano al ruolo della committenza, demandando alle maestranze locali la realizzazione di opere edilizie secondo tradizioni, tecniche e forme. Lo comprova l’intervento di Jacopo di Stigliano, che innesta sui muri esterni una cortina merlata di forma regolare. I cementarii, maestri muratori di Uggiano, per gli spessori delle murature prendono come riferimento il periplando (44,62 cm) piccola variante di quello introdotto da Liutprando. Il nucleo bizantino caratterizza la parte bassa del muro di cinta dell’ala Nord e di quella Sud. Il muro a mezzogiorno, attualmente con la scarpa tutta a sbalzo priva del sostegno della terra erosa o franata, è senz’altro una costruzione pre-normanna, caratterizzata da rozza muraglia con ciottoli di fiume e pietre di cava a corsi irregolari legati con malta, senza pretese di natura formale, dato che le popolazioni si difendono “non in bello..sed munitiones costruentes”. A questa muraglia, in epoca successiva, sono stati aggiunti una scarpa contro il ribaltamento verso valle e i merli di sommità. La precisa individuazione della provenienza del materiale da costruzione può essere un utile strumento di lettura critica del centro scomparso; le cave hanno prevalentemente operato in definiti periodi storici e questo permette la datazione e l’uso dei materiali stessi. C’è da dire che nel caso di Uggiano l’uso della pietra è alquanto limitato, in quanto questa è poco presente in loco: in questo contesto la pietra assume forme semplici.

Da quel poco che oggi è possibile riscontrare in situ, da quanto è maggiormente intuibile dalle fotografie di più di trent’anni or sono, si deve convenire che quanto è stato costruito sulla collinetta di Uggiano ha un suo lessico costruttivo e forme espressive alquanto evolute per la formazione delle maestranze, per gli apparati di cantiere e le tecniche costruttive.Basti pensare alla torre caduta di recente e all’arco a sesto acuto, che denota l’ingresso agli ambienti del castellanus, realizzato con conci di arenaria regolari e perfettamente squadrati. La tipologia decorativa del fregio all’imposta dell’arco con foglie stilizzate e bacche è un recupero dell’architettura normanna ascrivibile tra il XII e XIV secolo, come comprova l’iscrizione sul fianco dell’arco. Si tratta senz’altro di uno dei primi esempi nella nostra regione del cammino concettuale che ha definito questa nuova forma strutturale che è l’arco capace di incanalare flussi di forze sollecitando il materiale solo con sforzi di compressione anche se non uniformi, quegli sforzi più congeniali al materiale e all’intuizione storica e all’interpretazione dell’equilibrio degli antichi. L’arco di Uggiano costituisce da solo un’architettura compiuta e accompagna, per sette secoli, la storia di questo borgo fortificato. L’arco a sesto acuto permette anche agli architetti medievali della Basilicata di esplicitare meglio la loro nuova concezione costruttiva: l’arco, come dicevamo, incanala flussi di forze che tendono a ribaltare verso l’esterno i sostegni, che per resistere alla spinta devono avere un peso notevole. L’arco a sesto acuto, per via della sua particolare geometria, pur a parità di peso, rispetto ad un arco a tutto sesto, scarica una forza meno inclinata rispetto alla verticale e trasmette ai sostegni una spinta orizzontale minore. Cioè, l’effetto di ribaltamento verso l’esterno è inferiore, e pertanto i sostegni possono essere più snelli e leggeri e questa è senz’altro la ragione per cui l’arco angioino, a differenza degli altri archi quasi tutti crollati, è arrivato fino a noi. Sul piano compositivo l’altezza dell’arco non è strettamente correlata alla sua larghezza, nel nostro caso le dimensioni sono 4,10 x 5,00.

La determinazione delle sollecitazioni al rene (a 30° sopra l’orizzontale) evidenzia l’assenza di fessure, ma l’espulsione del concio di chiave, eventualità non remota se non si interviene tempestivamente, romperà l’equilibrio secolare della struttura e originerà il crollo dell’arco a sesto acuto equilatero. Attualmente sembrerebbe assurdo pensare ad un progetto di conservazione di quanto è sopravvissuto, ma, proprio in considerazione delle sparute tracce dei centri scomparsi, si rende necessario un progetto di conservazione della concezione strutturale originaria, capace di rispettare l’equilibrio che si è stabilito nel complesso di Uggiano con il trascorrere del tempo, capace di contenere il definitivo decadimento delle sparute strutture e di assicurarne un uso per farle vivere ancora nella testimonianza dei loro valori originari, delle trasformazioni che in ogni modo fanno parte della loro storia. L’intervento di conservazione dovrebbe prevedere l’analisi dei dissesti statici dell’unica torre e delle parti di muri superstiti e una migliore conoscenza dei materiali per la determinazione di criteri operativi per la reale messa in sicurezza del sito. L’utilizzo dei ruderi come memoria storica richiederebbe un progetto di valorizzazione indifferibile che dovrebbe prevedere la realizzazione di percorsi nella prossimità dell’area e sulla spianata e segnalazioni che indirizzino ad una fruizione del bene al suo contesto. Questo progetto potrà così perpetuare la lettura dei diversi periodi storici e dei materiali che li hanno caratterizzati, attraverso i quali la memoria, sistematicamente raccolta, potrà trovare nuovi riferimenti di arricchimento e nuove conferme.